La stella di Natale

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Sè#9
icon1  view post Posted on 15/11/2005, 16:42




Le Fonti Storiche

Non è raro che astronomi e astrofili compiano lunghi viaggi per recarsi a osservare un particolare fenomeno celeste visibile da un preciso luogo sulla Terra. Possiamo ricordare, ad esempio, le spedizioni in Sud Africa o alle Mauritius in vista dello storico ritorno della cometa di Halley nel 1986 o i numerosi viaggi-vacanza organizzati per l'osservazione delle eclissi di Sole. È dunque probabile, o comunque verosimile, che anche il viaggio intrapreso dai Magi dalla Caldea a Gerusalemme sia stato qualcosa di analogo.
Ma prima di soffermarci a considerare chi erano i Magi e della effettiva motivazione del loro viaggio, dobbiamo prendere in esame le fonti storiche dove si parla della Stella di Betlemme, come è comunemente conosciuta. Queste fonti sono, per la verità, molto scarne: il Vangelo di Matteo è, fra i 4 canonici, l'unico che ne faccia menzione:
«Nato Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco dei Magi arrivare dall'oriente a Gerusalemme, dicendo, Dov'è nato il re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti ad adorarlo».
Il testo poi prosegue dicendo che Erode fece adunare in seduta straordinaria i sommi sacerdoti e gli scribi onde saperne di più; un sovrano tanto potente quanto insicuro come lui avrebbe paventato terribilmente la perdita di privilegi che derivavano dalla sua stretta collaborazione coi Romani. Dopo aver dunque ascoltato i depositari delle antiche profezie, Matteo continua affermando che:
«Erode, chiamati di nascosto i Magi, s'informò esattamente da essi sul tempo dell'apparizione della stella».
Questo nella versione della Bibbia Concordata, ma anche altre edizioni, come la CEI o l'Edizione Riveduta del Luzzi rendono il passo in modo del tutto simile.

Qui occorre fare subito una precisazione: «in oriente» è la consueta traduzione del Greco en th anatolh (en ti anatolì) che può invece celare un significato più profondo di quello di una semplice zona del cielo dove osservare; secondo alcuni studiosi, tra cui il celebre archeologo biblico W. F. Albright, scomparso nel 1972, invece di «in oriente» sarebbe meglio tradurre «alle prime luci dell'alba» oppure «nei raggi dell'aurora», ponendo così in evidenza quando era osservabile la stella più che dove, in riferimento, cioè, al sorgere eliaco.
Altre informazioni più dettagliate si trovano nei vangeli apocrifi, quell'ottantina di scritti che la Chiesa ha rigettato come eretici, in quanto latori di insegnamenti non conformi all'ortodossia o a causa di inesattezze cronologiche e storiche. Eppure sarebbe difficile comprendere appieno tutte le sfaccettature dell'arte e della cultura cristiana prescindendo da questa vasta letteratura fiorita ai margini di quella canonica e che durante i primi secoli era sicuramente tenuta in maggior considerazione.
Uno degli apocrifi più famosi è il cosiddetto Protovangelo di Giacomo, composto agli inizi del II secolo &à8212; e quindi non molto posteriore alla stesura dei Vangeli canonici &à8212; dove al capitolo 21 possiamo leggere quanto segue:
«[I Magi] dicevano, Dov'è nato il re dei giudei? Abbiamo visto la sua stella nell'Oriente e siamo venuti ad adorarlo....[Erode] interrogò i Magi, dicendo, Quale segno avete visto a proposito del re che è nato? I Magi risposero, Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra queste stelle e le oscurava, tanto che le stelle non apparivano più. E così abbiamo conosciuto che era nato un re a Israele...Ed ecco la stella che avevano visto nell'oriente li precedeva finché giunsero alla grotta e si arrestò in cima alla grotta».

Questo brano è molto importante per due motivi: innanzi tutto ha influenzato, più dei canonici, l'iconografia natalizia che ci è tanto familiare, simboleggiata dal Presepio; nei canonici, infatti, non si parla mai di una grotta, ma di una casa (Matteo), o di una mangiatoia (Luca); in secondo luogo ha messo seriamente in difficoltà i primi curiosi che si erano seriamente interrogati sulla natura della stella: se infatti questa era tanto brillante da oscurare le stelle vicine, come mai a Gerusalemme nessuno l'aveva vista?
Limitiamoci, per il momento, a esaminare ancora un passo tratto da un altro apocrifo, ossia il Codice Arundel 404, in pratica un racconto sull'Infanzia di Gesù e dove al paragrafo 90 si legge, sempre riferito ai Magi:
«Abbiamo visto in cielo la stella del re degli Ebrei e siamo venuti ad adorarlo, perché sta scritto nei libri antichi a proposito del segno di questa stella: quando sarà apparsa nascerà il re eterno e darà ai giusti la vita immortale» (1) .
Vorremmo richiamare l'attenzione sul «sta scritto nei libri antichi». Quali libri? Se infatti escludiamo un inciso contenuto nel 24-esimo capitolo del libro biblico dei Numeri («una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge in Israele») (2) , non v'è alcun'altra menzione della stella nelle Scritture Ebraiche con significato messianico. Esistono dunque, o sono esistite, antiche fonti extrabibliche che parlavano di un astro che avrebbe di fatto profetizzato la nascita del Cristo?
Prima di rispondere a questa domanda cruciale prendiamo un momento in considerazione i protagonisti di questa vicenda.

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(1) — Impressionante, per non dire sconcertante, è quanto si legge poco più avanti, al paragrafo 94: «[La stella] ci è apparsa più sfolgorante del sole, sul cui fulgore nessuno ha mai potuto dire nulla...Essa non girava nel centro del cielo come sogliono fare le stelle e i pianeti, che quantunque osservino un certo corso di tempo, essendo immobili e di incerta provenienza, sono sempre dette erranti: solo questa non è errante. Pareva infatti che tutto il polo, cioè il cielo, non potesse contenerne la grandezza; ma anche il sole non ha potuto oscurare lo splendore della sua luce come fa per quello delle altre stelle. Anzi lo stesso sole si è fatto più debole di fronte allo splendore della sua venuta».

(2) — Questo passo tratto dall'Antico Testamento, che da molti studiosi è stato interpretato alla luce di una vera e propria profezia messianica, è noto come l'Oracolo di Balaam. Non è quindi da escludere, secondo la moderna esegesi neotestamentaria, che il brano incluso da Matteo nel suo Vangelo ed enfatizzato dagli Apocrifi sia semplicemente una rilettura in chiave cristiana dell'antica profezia.




I Magi

I Magi, magoi (maghi) nel testo greco, non erano re persiani, come si legge in una versione armena del VI secolo, la quale ci ha pure tramandato i nomi coi quali li conosciamo (Melchiorre, Gaspare e Baldassarre) Il testo di Matteo e quelli paralleli degli apocrifi che abbiamo considerato, tra l'altro, non specificano il numero di questi personaggi comunemente accettato dalla tradizione. Con ogni probabilità erano astrologi babilonesi, sapienti provenienti dalla città di Sippar dove esisteva un'importante scuola di astrologia. Secondo Erodoto, storico greco vissuto nel V secolo A.C., i Magi erano originariamente una delle 6 tribù in cui era diviso il popolo dei Medi e successivamente presso i Persiani il nome aveva assunto il significato generico di sacerdoti. Esiste un testo arabo conservato alla Laurenziana di Firenze che li ricollega addirittura al culto di Zarathustra, fondatore della dottrina del mazdeismo, del magismo e delle pratiche esoteriche. In questo testo si legge:
«come segno della sua nascita vedrete in oriente una stella più splendente del Sole e di tutte le stelle che sono in cielo, perché infatti non sarà una stella, ma un angelo di Dio...».
Ma la piena conferma ai nostri sospetti ci giunge da un altro testo apocrifo, il Vangelo Arabo sull'Infanzia del Salvatore, risalente al Medioevo, dove all'inizio del 7° paragrafo leggiamo [7:1]:
«Nato il Signore Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo di re Erode, ecco che dei magi vennero a Gerusalemme, come aveva predetto Zaradusht, portando seco dei doni...»
Dunque la nascita del Messia d'Israele era stata effettivamente profetizzata da Zarathustra almeno 6 secoli prima!
Non sorprende pertanto che l'astrologia, combattuta dai Profeti come pratica demonica, abbia di fatto imperato anche presso il popolo ebraico, come del resto si può notare da questo brano tratto dall'inizio della Genesi sulla creazione del mondo e appartenente al Codice Sacerdotale (chiamato anche Codice P da Priestercodex), redatto durante l'Esilio:
«Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni...».
Segue quindi la creazione del lume maggiore per regolare il giorno (ovviamente il Sole), di quello minore per la notte (la Luna) e delle stelle. Se da un lato troviamo un inciso analogo nel Salmo 104, ove si legge che «Per segnare le stagioni hai fatto la Luna e il Sole», è anche vero che quei "segni" di cui si parla nella Genesi racchiudono un significato più recondito di semplici indicatori di stagione. Infatti il termine ebraico tradotto con «segni» è 'othot', derivante dal verbo 'atha' che significa succedere, capitare, mostrarsi; 'othot' si può quindi tradurre «cose future», «cose che stanno per verificarsi», «avvertimenti», con palese riferimento alle predizioni astrologiche che scaturivano dallo studio dei fenomeni celesti. Evidentemente i sacerdoti dell'antico Israele, di nobile stirpe sadducea e che accettavano come ispirati solo i primi 5 libri della Torah, non avevano remore a trarre vaticini dall'osservazione del cielo. Pertanto questo segno che avrebbe guidato i Magi dall'oriente sino a Gerusalemme poteva essere benissimo considerato un messaggio col quale la Divinità, come già in uso presso i pagani, rendeva noti i suoi disegni a chi era in grado di interpretarli.
Ma cosa avevano visto esattamente i Magi?
Si deve notare che tutte le fonti sopra considerate non parlano mai di una cometa, ma di una stella (asthr, astìr, nel testo greco). Tuttavia sappiamo bene che «cometa» è un termine di origine greca che significa «chiomata» e quindi un aggettivo. Il termine corretto per indicare questi bellissimi astri chiomati, anche se oggidì è rimasto quasi totalmente relegato nel gergo popolaresco, dovrebbe essere «stella cometa», che in greco suonerebbe asthr komhthV, astìr komitìs e in latino sidus comatum. (3) Inoltre i Greci impiegavano lo stesso termine anche in riferimento ai pianeti: Asther DioV (stella di Zeus, ossia Giove), Asther AjrodithV (stella di Afrodite, ossia Venere). Pertanto la parola asthr di per sé non è dirimente ai fini di stabilire la natura precisa dell'oggetto in questione.
A dire la verità la letteratura sulla Stella di Natale, che è poi la materia della nostra dissertazione, è molto vasta e forse mai come in questo caso la fantasia degli uomini si è sbizzarrita nel corso dei secoli con le ipotesi più disparate. Ne possiamo schematicamente elencare 8:

1) un simbolo: la luce che sconfigge le tenebre, una concezione tipica del dualismo cosmico dell'Avesta, il libro sacro dello Zoroastrismo;
2) una pia leggenda raccolta da Matteo e inclusa nel suo racconto storico, nonché successivamente rielaborata dagli anonimi autori dei vangeli pseudo-epigrafici;
3) un angelo, una potenza demonica o comunque qualcosa di miracoloso e quindi non sondabile dalla ragione umana (era l'ipotesi prediletta dei Padri della Chiesa per spogliare l'evento di qualunque significato astrologico);
4) un disco volante o un'astronave di una civiltà aliena;
5) il pianeta Venere;
6) una cometa vera e propria, anche se magari non particolarmente brillante;
7) una nova o supernova;
8) una congiunzione planetaria.

Per i fini che ci siamo prefissati ci limiteremo, ovviamente, a considerare solo le ultime 4. Anche la 5a ipotesi si può, comunque, facilmente scartare: è vero infatti che Venere in certi periodi è un oggetto particolarmente splendente, al punto da penetrare le brume dell'orizzonte, brillando di una luce cinerea e talvolta spettrale; tuttavia è assai improbabile che i Magi avessero intrapreso un viaggio così lungo per Venere, sapendo bene cos'era, come si muoveva e soprattutto che non vi era nulla di strano nel suo splendore.
L'ipotesi della cometa è sempre stata, sino a non molto tempo fa, quella più gettonata, se non altro perché si era affermata come un simbolo dell'iconografia cristiana, soprattutto a partire dal secolo XIV con la raffigurazione che ne fece Giotto nell'Adorazione dei Magi della Cappella degli Scrovegni a Padova. Questo affresco è stato eseguito nel 1304 quando evidentemente era ancora vivo nella mente dell'artista il passaggio della cometa di Halley nel 1301. Alcuni studiosi hanno obbiettato che la cometa in questione non fosse quella di Halley, ma un'altra apparsa poco dopo, in quanto sul dipinto è raffigurata rossastra, mentre secondo le cronache cinesi la Halley appariva bianca. Può darsi, anche se come astrofili sappiamo sin troppo bene come gli oggetti brillanti tendano ad arrossarsi quando sono avvolti dalla foschia o sono bassi sull'orizzonte. Una cosa è comunque certa: la rappresentazione di Giotto è la prima veramente realistica di una cometa che si conosca nel mondo occidentale.
L'ipotesi cometaria s'inquadrava bene anche per un altro motivo: questi oggetti misteriosi che di sovente sembrano apparire repentinamente dal nulla e sparire con altrettanta rapidità, erano ritenuti forieri di buoni o cattivi auspici e non di rado erano messi in relazione con avvenimenti importanti a livello politico come mutamenti di potere; lo stesso Tacito, nei suoi Annales, parlava di una cometa apparsa nell'anno 60 che aveva fatto sperare in una cacciata di Nerone dal trono.
Da notare, per inciso, che in oriente, in quella terra di Shumer dov'è nata l'astronomia che noi conosciamo, le comete erano ritenuti corpi celesti già a partire dal II millennio A.C., contrariamente, quindi, al pensiero aristotelico, che ha dominato incontrastato per quasi due millenni e che le vedeva invece relegate al corruttibile mondo sublunare. Tuttavia la stella che guidò i Magi non poté essere la cometa di Halley — così come certamente non si trattò di nessun'altra cometa brillante — ma non tanto per il transito avvenuto nel 12 A.C. e ritenuto troppo anticipato, come vedremo dopo, bensì perché una cometa brillante sarebbe stata certamente scorta da tutti ed Erode non si sarebbe trovato nell'imbarazzo di interrogare i Magi in privato per averne notizia.
Potrebbe invece essersi trattato di una cometa molto debole, visibile a mala pena a occhio nudo; in tal caso sarebbe passata del tutto inosservata alla gente comune, ma non sarebbe certo sfuggita all'occhio vigile degli astronomi (o degli astrologi: a quei tempi non c'era differenza tra le due discipline). In tal caso l'enfasi data alla sua luminosità nei racconti che abbiamo considerato sarebbe puramente simbolica e da ricollegarsi solo in ciò che avrebbe rappresentato. Ad ogni modo, rintracciare una cometa debole transitata più di 2000 anni fa è un'impresa che non invidio a nessuno!

Per quanto riguarda la 7a ipotesi, quella della nova, c'è da dire che anche qui piove sul bagnato. Si tratta di un'ipotesi antichissima che risale a Origene, teologo vissuto ad Alessandria agli inizi del III secolo. Egli riteneva che «la stella apparsa ai Magi nell'Oriente sia stata un nuovo astro, senza nulla in comune con quelli che ci si mostrano nel firmamento o nell'atmosfera più bassa. Presumibilmente fu una di quelle meteore che sogliono comparire di tanto in tanto e che i Greci distinguono chiamandole, secondo la loro forma, ora comete, ora travi infuocate, ora stelle caudate, ora botti e con altri nomi ancora» (Contra Celsum, Libro I, Cap LVIII). In quest'opera, per la verità piuttosto prolissa, Origene si richiama al trattato sulle comete del filosofo alessandrino Cheremone vissuto nel I secolo ed è sicuramente tra i primi commentatori dell'era cristiana a sostenere vivamente la realtà astronomica dell'evento che secondo le concezioni astrologiche, come accennato prima, veniva interpretato alla stregua di un mutamento politico. Se noi siamo soliti dire che «morto un papa se ne fa un altro», a quei tempi di diceva, in certi ambienti, «nova stella, novus rex».
Tuttavia anche per una nova (il «nuovo astro») valgono le stesse considerazioni fatte a proposito delle comete e cioè che sarebbe stata sicuramente vista anche da Gerusalemme. I sommi sacerdoti, al limite, avrebbero potuto informarsi dai Magi sul significato astrologico dell'evento, ma non su quando la stella era loro apparsa.
Resta da considerare l'ultima ipotesi, quella della congiunzione planetaria, sicuramente la più accreditata e che sembra meglio di tutte collocare i tasselli del puzzle al loro posto. Per la verità anche quest'ipotesi è molto più antica di quanto non si creda, perché risale a Keplero. Purtroppo questo grande e sfortunato scienziato, contemporaneo di Galileo, si perdeva così facilmente nel mondo della mistica che gli astronomi hanno sempre lasciato cadere nell'oblio la sua ipotesi per riesumarla solo in tempi relativamente recenti.
Torneremo presto su questo punto, ma solo dopo aver inquadrato a grandi linee la data dell'avvenimento.

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(3) — A proposito di "astri chiomati" o "dalla lunga chioma" può essere divertente un aneddoto riferito a Vespasiano che, a quanto pare, era dotato di un gran senso dell'humour. Le comete, come si legge nel corso dell'articolo, erano spesso ritenute di cattivo auspicio. Quando ne apparve una nell'anno 79 l'imperatore ci scherzò sopra dicendo che si riferiva all'imminente caduta del re dei Parti (nemici giurati di Roma che guardavano con apprensione all'espansione della Superpotenza in Medio Oriente) il quale portava lunghi capelli, mentre lui era calvo.
Vespasiano morì lo stesso anno!





Quando avvenne?

È sorprendente che del fondatore del Cristianesimo, di questo personaggio che ha spaccato la storia in due (avanti Cristo e dopo Cristo) non sia conosciuto il genetliaco, tanto più che praticamente tutto il mondo adotta il calendario che conta gli anni dalla sua nascita. Se è vero che gli Ebrei hanno il loro computo del tempo basato sulla Creazione del Mondo e che i Mussulmani contano gli anni dall'Egira, è anche vero che questi calendari servono per scopi puramente religiosi; per uso civile anche Ebrei e Mussulmani utilizzano il calendario gregoriano.
È senz'altro oramai noto a tutti che l'anno 1 dell'era cristiana non coincide con la nascita di Gesù a causa di uno sbaglio commesso dal monaco scita Dionigi il Piccolo vissuto tra la fine del V e la prima metà del VI secolo. Questi nel 525 aveva avuto l'incarico dal papa Giovanni I di riformare le tavole astronomiche per i computo della Pasqua che se nel calendario lunisolare ebraico, allora come oggi, cade invariabilmente nello stesso giorno dello stesso mese dell'anno, ossia il 14 di Nissan, in quello cristiano, esclusivamente solare, doveva essere stabilita di volta in volta in base al primo plenilunio di primavera, come sancito dal concilio di Nicea. Dionigi, dotto linguista, astronomo, ma anche fervente apologista, si propose anche di fissare l'inizio della nuova era dalla nascita di Gesù, sopprimendo gli anni di Diocleziano, «tiranno piuttosto che principe», ma per fare questo effettuò dei calcoli piuttosto complicati rifacendosi a una cronologia elaborata circa una secolo prima dal vescovo Cirillo di Alessandria; commise però l'errore di aver fissato la nascita di Gesù il 25 dicembre dell'anno 753 dalla fondazione di Roma e di aver quindi stabilito come anno 1 quello che iniziava col successivo 1° gennaio. Esula da questo contesto riportare tulle le elucubrazioni aritmetiche del monaco, ma resta il fatto che la nascita effettiva di Gesù va retrodatata di alcuni anni. Ma di quanti?
Per inquadrare cronologicamente l'evento, dobbiamo dapprima cercare di fissare un terminus ante quem e un terminus post quem. Il primo ci è fornito da un passo tratto dal 2° capitolo del Vangelo di Luca dove si legge:
«Il quel tempo fu emanato un decreto di Cesare Augusto per il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento avvenne quando Quirino era governatore della Siria».
Ma Quirino, o Cirino a seconda delle traduzioni, non divenne governatore della Siria se non nel 6 d. C. e comunque si trattò di un censimento provinciale e non imperiale.

È possibile che Luca si fosse sbagliato?
Così parve per molto tempo sino a quando si scoprì che Publio Sulpicio Quirinio era già stato un'altra volta in Siria in qualità di legato dell'imperatore Augusto e al tempo del proconsole Saturnino. Anche se in quell'epoca era investito di compiti prettamente militari, egli aveva stabilito in Siria la sua sede ufficiale e il suo quartier generale tra l'11 e il 7 a.C. Durante questo periodo potrebbe aver ordinato il censimento della popolazione che nella Roma antica aveva un duplice scopo: la valutazione del numero degli abitanti idonei al servizio militare e l'esazione delle imposte.
Oppure, anche se limitato esclusivamente al conteggio degli abitanti della provincia della Giudea, si potrebbe invocare il censimento imperiale ordinato da Cesare Augusto nell'8 a.C. Considerato che a quel tempo i dispacci non viaggiavano sicuramente via etere, si può ragionevolmente supporre che l'ordine sia giunto nella lontana Gerusalemme l'anno successivo (7 a.C.).

Comunque siano andate effettivamente le cose il passo di Luca andrebbe allora letto così:
«Questo censimento avvenne prima che Quirino fosse governatore della Siria», come fa la Bibbia Concordata, oppure «Questo censimento fu [quello] precedente a quando Quirinio divenne governatore della Siria».

Un'àncora importante, però, ci viene da un famoso storico e cronista dell'antichità, Giuseppe Flavio, condottiero ebreo passato dalla parte romana al tempo della guerra fatidica del 66-70 che ha portato alla disfatta totale d'Israele. Nella sua celebre opera Antichità Giudaiche, composta negli ultimi decenni del I secolo, Giuseppe afferma che Erode il Grande fu nominato re da Marco Antonio nella Olimpiade 184-esima, ossia nel 41 a.C., e che questo dispotico tiranno regnò 37 anni. Inoltre, nella stessa opera, si narra che poco prima della sua morte aveva avuto luogo un'eclissi di luna un mese prima della Pasqua (che secondo il calendario ebraico, in base a quanto sopra affermato, cade invariabilmente durante il plenilunio). L'eclissi in questione è, molto probabilmente, quella verificatasi la notte tra il 12 e il 13 marzo del 4 a.C., mentre la Pasqua sarebbe stata celebrata il successivo 11 aprile. Se la famigerata Strage degli Innocenti non è soltanto una eco leggendaria della crudeltà di questo sovrano, in base al criterio con la quale era stata ordinata, vale a dire l'uccisione di tutti i maschi dai 2 anni in giù, siamo costretti a collocare la nascita di Gesù al più tardi tra il 5 e il 7 a.C. Questo escluderebbe automaticamente il censimento provinciale del 6 d.C, perché a quel tempo Erode era già morto da 9 anni!
Il terminus post quem, sia pur con un certo lasco, è invece più sorprendente e ci è fornito dal vangelo di Giovanni. Questa è un'opera composta tra la fine del I e l'inizio del II secolo e che ha fatto fatica ad affermarsi nel Canone a causa dell'intransigenza che la chiesa nascente aveva sempre manifestato nei confronti dello gnosticismo, un movimento esoterico e iniziatico da cui il IV vangelo dipende strettamente. Eppure se si considerano le vere origini storiche del Cristianesimo, questa scuola di pensiero vi ha giocato un ruolo importantissimo. Chiaramente non ci soffermeremo su ciò, onde non uscire dai binari della nostra disamina, ma gioverà considerare un passo contenuto alla fine del capitolo VIII nel quale Gesù dice:
«Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò. Gli dissero allora i Giudei, Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?».
Avrete notato ciò che i Farisei hanno obbiettato a Gesù?
Ora, si può dire «non hai ancora 50 anni» a una persona che è vicina alla 50-ina e non a uno che ne ha 40 o meno. Supponiamo dunque che durante questo colloquio Gesù abbia avuto effettivamente un'età compresa tra i 45 e i 50 anni. Dal vangelo di Luca veniamo a sapere che Giovanni Battista cominciò la predicazione nel deserto nel 15° anno dell'Impero di Tiberio, il quale fu proclamato Cesare nel 14 d.C. Luca chiude repentinamente l'episodio affermando che il Battista venne imprigionato da Erode Antipa, ma secondo Matteo il battesimo di Gesù nel Giordano, e quindi l'inizio della sua vita pubblica, avvenne più o meno in quel periodo. Se accettiamo che il ministero di Gesù sia durato 3 anni, come da tradizione, possiamo fissare la data della crocifissione nell'anno 31; se al momento della morte egli aveva effettivamente l'età che abbiamo supposto, dovette nascere tra il 15 e il 20 prima della nostra era!
Questo intervallo di 5 anni si può dunque considerare il limite superiore, ma, come si vede da tutto questo, l'incertezza resta comunque grande.
Incerti sono, purtroppo, anche il giorno e il mese della nascita di Gesù.
Precisiamo subito che il 25 dicembre, la fatidica data fissata da Dionigi, è in realtà una ricorrenza stabilita al concilio di Nicea nel 325 per contrapporre la nuova festa cristiana all'antica festa pagana del dio Sole. Si era trattato di una mossa astuta escogitata da Costantino, il quale aveva capito che l'unità religiosa dell'impero era un presupposto fondamentale per dare coesione ai popoli sottomessi. Nel 272 l'imperatore Aureliano, conquistata Palmira, aveva istituito la festa del Dies Solis Invicti Natalis (natale dell'invincibile sole), una festa legata al culto misterico di Mitra molto diffuso specialmente presso i militari; nulla parve dunque più appropriato, ai cristiani dell'epoca, poterla celebrare rendendo culto al loro Dio quale Sole di Giustizia, come affermato dal profeta Michea, e quindi Luce contrapposta alle Tenebre in palese riferimento al Cristo risorto, come viene spesso simboleggiato nel Vangelo di Giovanni. Proprio in quest'ultimo sembra esserci un'indicazione del moto annuale del Sole in relazione alle stagioni: nel III capitolo il Battista dice riferito a Gesu: «Egli deve crescere e io diminuire».

La festa di S. G. Battista cade il 24 giugno, quando, cioè, a quei tempi ricorreva il solstizio d'estate, contrapposto a quello d'inverno che dal tempo di Giulio Cesare veniva appunto celebrato il 25 dicembre. Ma sappiamo bene cosa succede durante solstizio estivo: il Sole, raggiunto il punto più alto dell'eclittica, comincia a diminuire in declinazione (le giornate si accorciano), mentre durante quello invernale ricomincia a crescere (e le giornate tornano così ad allungarsi).
Anche lo stesso mese di dicembre non sembra il più appropriato per collocarvi la nascita di Gesù e ancora una volta è Luca a fornirci interessati informazioni. Leggiamo infatti che «vi erano dei pastori in quella stessa regione che passavano la notte all'aperto facendo la guardia alle loro greggi».
È noto che in Palestina, come del resto anche qui da noi, i mesi di dicembre e gennaio sono i più freddi dell'anno, con temperature che possono scendere al di sotto dello zero; inoltre questo periodo coincide più o meno con la stagione delle piogge. Secondo il Talmud le greggi venivano portate al riparo attorno alla metà di novembre e vi restavano sino all'inizio della primavera. Se supponiamo che il clima della Palestina non sia mutato sensibilmente nel corso degli ultimi 2000 anni — e non c'è motivo di crederlo — non è dunque verosimile che attorno al 25 dicembre vi fossero ancora dei pastori che dimoravano sotto le stelle!
Ma c'è un altro importante indizio fornitoci da questo evangelista meticoloso. Si legge, infatti, che Zaccaria, moglie di Elisabetta e padre di Giovanni Battista, officiava nel Tempio secondo il turno della classe Abia, una delle 24 classi in cui era stato diviso il sacerdozio nell'Antico Israele; quella di Abia era precisamente l'8a classe (Cfr 1° Libro delle Cronache, cap 24). Come si può desumere dai manoscritti di Qumran questo turno cadeva due volte all'anno dall'8 al 14 del III mese (Shivan, che coincide col periodo maggio-giugno), e dal 24 al 30 dell'VIII mese (Cheshvan, ossia ottobre-novembre). Se ipotizziamo che i fatti narrati si riferiscano al primo dei due periodi, possiamo dedurre che, avendo Elisabetta concepito dopo la fine del turno di suo marito, ossia alla metà del III mese — e quindi, tanto per fissare le idee, diciamo attorno alla prima settimana di giugno — il Battista sarebbe nato verso la metà del successivo mese di marzo. Secondo lo stesso Vangelo, la nascita di Gesù sarebbe avvenuta 6 mesi dopo quella di Giovanni e pertanto si collocherebbe nell'ultima decade di settembre (4) . In questo periodo dell'anno fa ancora abbastanza caldo da poter dimorare all'aperto durante la notte.
Abbiamo adesso sufficienti elementi per riesumare la nostra 8a e ultima ipotesi, quella della congiunzione planetaria.

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(4) — Si tenga presente che i mesi del calendario ebraico sono mediamente di 29 giorni e mezzo (vale a dire una lunazione), mentre nel nostro hanno una lunghezza media di 30.4 giorni e cioè il 3% in più. Ciò significa che nel nostro calendario dobbiamo aggiungere circa 8 giorni, se consideriamo un periodo di 9 mesi secondo il computo ebraico e di 5 giorni su una durata di 6.




Entra in campo Keplero


Il 17 dicembre 1603, Keplero osserva da Praga una congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci e l'anno successivo, in occasione della supernova in Ofiuco esplosa in ottobre e occasionalmente scoperta dall'amico J Brunowski, ne osserva addirittura una tripla di Marte, Giove e Saturno. Queste congiunzioni triple, note come Trigoni di Fuoco, sono molto rare, ma una di queste si era verificata proprio in concomitanza alla nascita di Zarathustra! Keplero si chiedeva se un fenomeno analogo previsto in anticipo dagli astronomi potesse aver indotto i Magi a intraprendere il loro viaggio e a guidarli lungo la via. O meglio: poteva una congiunzione planetaria aver annunciato la venuta della vera stella di Betlemme o era essa stessa da considerarsi la Stella di Betlemme?
Keplero rifletté a lungo sulla Nova e sulle congiunzioni planetaria del 7 a. C. e , ma il suo misticismo lo portò a credere che la Stella di Betlemme fosse soltanto un miracolo e non un fenomeno reale: rifiutava infatti di credere che gli astrologi potessero aver previsto un evento del genere, perché in tal caso Dio avrebbe accondisceso a soddisfare la credulità di coloro la cui dottrina era sempre stata mal vista dalla Chiesa. Nella sua Opera Omnia, infatti, scriveva che «Quella stella non era una normale cometa o una normale nuova stella, ma uno speciale miracolo passato nello strato più basso dell'atmosfera». Questa insolita spiegazione potrebbe essere un riferimento ai seguaci medievali di Aristotele secondo i quali le comete sarebbero state un prodotto atmosferico delle emanazioni di luce causate dalle congiunzioni planetarie.
A un certo punto, però, il grande astronomo tedesco si ricorda della relazione dello scrittore rabbinico Isaac Abrabanel (o Abarbanel) nella quale si accennava a un influsso straordinario che gli astrologi ebrei di cultura ellenica avevano sempre attribuito a questa costellazione. La teoria di questo ebreo sefardita oriundo del Portogallo non sembra oggi molto convincente: secondo il Tetrabiblon, un celebre trattato di astrologia attribuito a Claudio Tolomeo, l'illustre astronomo e geografo alessandrino vissuto al tempo dell'imperatore Adriano, sarebbe stata la costellazione dell'Ariete e non quella dei Pesci a simboleggiare Israele (a essere precisi, secondo il Libro II del Tetrabiblon l'Ariete avrebbe protetto anche la Celesiria e l'Idumea, terre che al tempo degli avvenimenti appartenevano al regno di Erode); d'altra parte i Pesci sono sempre stati considerati un segno d'acqua e come tali potevano facilmente essere associati a Mosé, il profeta egiziano "tratto dalle acque", colui che aveva mutato in sangue l'acqua del Nilo, che con la sua verga aveva reso potabili le sorgenti amare del deserto; quel Mosé che divise le acque del Mar Rosso salvando il suo popolo dalle armate del Faraone. Oltre che da tutto questo è probabile che Abrabanel si sia lasciato influenzare dall'interpretazione cristiana del pesce che, com'è noto, veniva impiegato, spesso clandestinamente, come simbolo messianico di Gesù.
Keplero, comunque, fece ripetutamente i calcoli e trovò che in effetti Giove e Saturno si erano incontrati per ben tre volte nei Pesci nel 7 a.C. La conferma dell'accuratezza dei calcoli di Keplero ci viene anche da una tavoletta in caratteri cuneiformi rinvenuta a Sippar e decifrata nel 1925 dall'erudito tedesco P. Schnabel dove si parla della triplice congiunzione! Tuttavia non era ancora chiaro il perché del viaggio dei Magi, se è provato che il fenomeno era ben osservabile anche dalla Mesopotamia.
In Oriente gli astrologi solevano attribuire a ogni costellazione un significato particolare; quella dei Pesci, per esempio, si trovava alla fine di un periodo e l'inizio di un altro; e noto, infatti, che il punto Gamma dell'Ariete, dove l'eclittica incrocia l'equatore celeste, segnava il passaggio dall'inverno alla primavera (usiamo il passato perché per effetto della precessione degli equinozi questo punto, in 2000 anni, è retrocesso nei Pesci). Dunque secondo la concezione babilonese la presenza dei due pianeti in questa costellazione poteva essere interpretata come la fine di un'epoca e l'inizio di una nuova. Inoltre sempre secondo Abarbanel Giove era considerato un simbolo di regalità, mentre Saturno era l'astro protettore d'Israele; questa interpretazione trova conferma anche in Tacito il quale identificava Saturno con la Divinità che veniva adorata di Sabato (Yahweh o Geova). Fra le migliaia di Ebrei che dal tempo della deportazione ordinata da Nabucodonosor nel 586 a.C vivevano ancora in Babilonia alcuni quasi sicuramente avevano studiato alla scuola astrologica di Sippar e questo evento celeste deve averli profondamente impressionati: un triplice incontro ravvicinato di Giove e Saturno nella costellazione del Pesci poteva significare la comparsa di un potente re nella terra dei loro Padri. Forse era finalmente giunto il tempo della restaurazione messianica annunciato dai profeti e tanto atteso dalla popolazione. Assistere di persona all'evento può essere quindi stata la motivazione che li avrebbe spinti al viaggio. A questo punto possiamo cercare di ricostruire una ipotetica sequenza degli avvenimenti.



Possibile Svolgimento dei Fatti

Il 29 maggio del 7 a C. i Magi osservarono la prima congiunzione dei due pianeti «alle prime luci dell'alba» (en th anatolh). Nel paese dei due fiumi, durante quel periodo, fa già molto caldo, per cui è difficile immaginare che i Magi avessero intrapreso un viaggio dall'Oriente attraverso il deserto infuocato per coprire i 900 km circa che separano Sippar da Gerusalemme (vedi cartina). Potrebbero, però, aver scelto di viaggiare lungo un itinerario meno difficoltoso, ma in tal caso il viaggio, a dorso di cammello lungo le antiche strade carovaniere, sarebbe potuto durare anche un paio di mesi. Tuttavia non c'era motivo che si fossero mossi immediatamente, sapendo bene che la congiunzione si sarebbe ripetuta il successivo 3 ottobre. Non è quindi da escludere che, una volta scelto l'itinerario meno faticoso, abbiano programmato per trovarsi a Gerusalemme per quella data. Giunti sul luogo si sarebbero presentati a Erode per informarlo su ciò che stava per accadere. Dopodiché, una volta saputo dai sacerdoti e dagli scribi, convocati dallo stesso sovrano, che secondo le antiche profezie il Cristo doveva nascere a Betlemme, accomiatatisi da Erode si sarebbero messi in viaggio diretti verso questa borgata situata su una collina a circa 9 km sud di Gerusalemme.
«Ed ecco la stella che avevano veduto in oriente li precedeva, finché giunta sopra il luogo dov'era il bambino si fermò. Vedendo la stella essi si rallegrarono di una gioia assai grande ed entrati nella casa videro il bambino». Così continua il Vangelo di Matteo.
Durante la congiunzione planetaria del 3 ottobre, i due pianeti, attorno alle 8 e mezza di sera, si trovavano a 44 gradi sull'orizzonte. Se dunque i Magi si fossero incamminati verso quell'ora li avrebbero avuti davanti a loro, poco a est del meridiano, per cui, simbolicamente parlando, era come se effettivamente li precedessero. Le stelle più deboli sarebbero state offuscate dalla presenza della Luna in fase avanzata, situata più o meno in meridiano a una 30-ina di gradi di distanza verso occidente, facendo così risaltare ancor più la luce ferma dei pianeti che dominavano superbamente il cielo vespertino. Dire che a un certo punto la stella si fermò potrebbe quindi riferirsi al suo culminare in meridiano. Quando infatti si osserva il sorgere della Luna o del Sole, questi sembrano salire a vista d'occhio, fin tanto che rimangono a ridosso dell'orizzonte, ma una volta raggiunto il punto più alto del cielo paiono come «fermarsi»
Il tragitto da Gerusalemme a Betlemme si può compiere comodamente in un paio d'ore, per cui è possibile che i Magi siano giunti sul luogo stabilito poco dopo le 10, quando i due pianeti erano in meridiano. Anche se Luca, parlando dell'arrivo dei Magi, non lo specifica, è comunque probabile che costoro, lungo il tragitto, abbiano incontrato dei pastori che passavano notte all'aperto. Si noti che, secondo Matteo, i Magi non sono arrivati alla mangiatoia, ma sono entrati «nella casa». Si trattava sicuramente dell'albergo annesso al quale c'era la mangiatoia e nella quale Maria aveva dovuto partorire, non essendoci posto altrove, come affermato da Luca. Possiamo capire questo se supponiamo che l'arrivo dei Magi fosse coinciso con la «Festa delle Capanne» o dei «Tabernacoli», una delle 7 festività ebraiche che racchiudono la settimana compresa dal 15 al 21 del mese di Tishri del calendario ebraico, corrispondente al periodo settembre-ottobre. Durante questa festività gli Ebrei osservanti di tutta la diaspora confluiscono ancor oggi in Gerusalemme e dintorni ed è quindi probabile che anche i genitori di Gesù si siano quivi recati per celebrare la ricorrenza.
Se invece supponiamo che i Magi siano giunti in concomitanza della terza e ultima congiunzione, quella del 4 dicembre, varrebbero le stesse considerazioni precedenti, salvo il fatto che il tragitto tra Gerusalemme e Betlemme sarebbe avvenuto alcune ore prima e i Magi si sarebbero incamminati durante il crepuscolo. Non avrebbero, ovviamente, incontrato i pastori, che da circa un mese e mezzo avevano condotto al riparo le loro greggi, ma non sarebbero neppure giunti durante la festività. In tal caso non si spiegherebbe la presenza in albergo della sacra famiglia («entrati in casa»), a meno di non supporre che Giuseppe e Maria, entrambi della tribù di Giuda ma dimoranti in Galilea, o nella confinante Gaulanitide, si fossero recati a Betlemme in occasione del censimento durante questo periodo. È un'ipotesi che lascia alquanto perplessi, perché se ci riferiamo al censimento dell'8 a.C. — il cui ordine sarebbe giunto, per quanto detto precedentemente, l'anno successivo — la popolazione non avrebbe avuto l'obbligo di recarsi nei paesi natali; diversamente, se ci riferiamo a un probabile o quanto meno possibile censimento ordinato Quirino al tempo del suo primo mandato ci troviamo nella difficoltà di una mancanza di riscontri nella storia. In tal caso, comunque, il «non vi era posto per loro in albergo» del racconto lucano non andrebbe ovviamente imputato alla festività dei Tabernacoli, ma alla folla di persone accorsa a Gerusalemme e dintorni per farsi registrare (ma questo punto ogni ipotesi diventa lecita)!

congiunzione 29 maggio
congiunzione 3 ottobre
congiunzione 4 dicembre




Conclusione

È interessante, per chiudere, notare un passo tratto dal libro Rainbow dello scrittore Brown Hart. In un excerpt di 3 pagine pubblicato sul primo numero della rivista l'Astronomia [Ottobre-Novembre 1979], l'autore, per rispondere ad alcune domande di un amico un po' invadente, parla di una curiosa teoria avanzata da un anonimo astronomo dell'osservatorio messicano di Tonantzinlta, convinto sostenitore della cometa di Betlemme, ma soprattutto del miracolo che racchiudeva. Egli riteneva che le comete potessero essere abitate, ipotesi apparentemente strampalata se non fosse stata presa in seria considerazione alcuni dopo la sua morte dal fisico e matematico inglese Freeman Dyson, noto per i suoi studi sull'origine della vita. Questi aveva ipotizzato che l'habitat ideale per lo sviluppo della vita extraterrestre potrebbe risiedere proprio nelle comete; essendo ricche d'acqua e di molecole organiche è possibile ipotizzare un futuro, più o meno remoto, in cui gli ingegneri biologici saranno in grado di far crescere piante anche in assenza d'aria che, data la bassissima gravità superficiale, potranno svilupparsi in altezza per centinaia di chilometri e di operare la fotosintesi a qualunque distanza dal Sole. Vista da lontano una cometa del genere somiglierebbe moltissimo a una patata fittamente germogliata! L'astronomo di Tonantzintla era fermamente convinto che almeno una di queste comete fosse effettivamente abitata da una coppia di persone eternamente giovani e belle (Adamo ed Eva) assieme a tanti animali in gioiosa libertà in un bellissimo paradiso. All'umanità sarebbe apparsa solo tre volte: la prima poco dopo la creazione del genere umano, la seconda durante la venuta del Salvatore e la terza alla fine del mondo.
Ciò che videro i Magi era stata la Verde Cometa di Natale.

info prese da:
galassiere
 
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0 replies since 15/11/2005, 16:27   1641 views
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