nebulose

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Sè#9
icon11  view post Posted on 15/11/2005, 16:23




Anche se molto più spinto del vuoto che si può ottenere nei laboratori di fisica, lo spazio interstellare, in realtà, vuoto non è. Mediamente vi incontriamo una densità pari a 1 o 2 atomi d'idrogeno per centimetro cubo, ma in certe regioni se ne possono anche trovare 20 o 30. Sono valori che se confrontati con la densità dell'aria che respiriamo (circa 1019, ossia dieci miliardi di miliardi!) ci fanno sorridere; tuttavia gli spazi interstellari sono talmente vasti che lungo la nostra visuale si sommano un numero impressionante di atomi e/o particelle di polvere, tali da produrre quelle nubi spettacolari che contempliamo nel firmamento o quelle vaste zone scure come la biforcazione della Via Lattea tra il Cigno e il Sagittario.
Come tutta la materia presente nell'Universo, anche le nebulose sono costituite prevalentemente da idrogeno, l'elemento chimico più semplice che esiste, formato solo da un protone e un da elettrone. L'idrogeno è abbondantissimo sulla Terra: certamente non allo stato puro, sia perché è molto reattivo, sia perché essendo leggerissimo tenderebbe comunque a sfuggire rapidamente dall'atmosfera; lo troviamo invece combinato in moltissimi composti, primo fra tutti l'acqua che ricopre i 7/10 del globo; non per nulla idrogeno è una parola greca che significa letteralmente "generatore di acqua".
Quando gli atomi si trovano nel loro stato fondamentale si parla di idrogeno neutro e una nube d'idrogeno neutro si può solo evidenziare con un radiotelescopio per onde centimetriche; in altri termini, è otticamente invisibile. Può tuttavia capitare che a causa dell'intenso irraggiamento operato da una stella nelle vicinanze gli elettroni che se stavano tranquilli attorno al nucleo vengano spinti su livelli più energetici — e quindi instabili — e vi rimangano per un certo tempo; in questo caso gli atomi vengono eccitati e rimangono in questo stato sino a quando essi ricadono nel loro stato primitivo emettendo, a loro volta, dei fotoni corrispondenti al salto energetico che hanno dovuto compiere; questo salto può corrispondere anche al dominio ottico (le famose righe della serie di Balmer) e in tal caso l'idrogeno diviene visibile in un comune telescopio. È un po' come un libro in bilico sul bordo di un tavolo: si trova in posizione precaria e quindi instabile; quando prima o poi cadrà in terra, un tonfo inconfondibile avvertirà la persona distratta che il suo prezioso volume è finito nella condizione di minima energia (il pavimento); maggiore è l'altezza da cui cade, più forte sarà il tonfo...e il danno conseguente del libro!

Abbiamo prima accennato alle righe di Balmer perché tale è lo spettro che presentano le cosiddette "nebulose a emissione", in quanto il meccanismo di emissione è concettualmente simile a quello prodotto in un gas rarefatto. Una delle righe più vistose, e responsabile dei bellissimi colori di celebri nebulose, è la riga H-alfa che ha un colore rosso vivo; purtroppo questa non è mai così intensa da stimolare a un livello accettabile i coni della retina, quando poniamo l'occhio direttamente all'oculare del telescopio; in condizioni di bassa luminosità, come noto, l'effetto Purkinje tende a privilegiare le lunghezze d'onda minori, ossia la regione verde-azzurra dello spettro dove cade, invece, la riga H-beta. Dobbiamo quindi ritenere che il caratteristico colore glauco della nebulosa di Orione o della Laguna sia dovuta a questa riga? Non esattamente, o almeno non in modo preponderante. Questa bellissima tonalità, che conferisce un indubbio fascino all'osservazione visuale di certe nebulose, è dovuta a una riga proreddotta dall'ossigeno due volte ionizzato, il cosiddetto O III. Si tratta di una riga "proibita", nel senso che ha un probabilità remota di verificarsi; anzi, in laboratorio è virtualmente impossibile da ottenere, perché occorrerebbe una tale rarefazione del gas in esame da rendere pressoché nulli gli urti fra gli atomi. Ma anche raggiungendo questi requisiti, lo spazio di un laboratorio è comunque limitato. Nel caso delle nebulose, dove le distanze non si misurano in metri ma in migliaia di anni luce, lo spazio a disposizione, come dicevamo prima, è invece talmente vasto che anche un evento remoto come un'emissione proibita diviene quasi normale; volendo fare anche in questo caso un esempio un po' pacchiano, proviamo a immaginare di riuscire a giocare ogni settimana un miliardo di schedine al totocalcio: avremmo la certezza quasi assoluta di azzeccare costantemente il 13! Del resto anche la famosa riga di 21 centimetri emessa dall'idrogeno neutro, e che ha permesso ai radioastronomi di ricostruire per la prima volta la struttura della Via Lattea, è a sua volta una riga proibita. Ma la nostra Galassia, con un diametro di ben 100.000 anni luce, è talmente vasta che si ha un'emissione costante a questa frequenza.

Abbiamo sinora accennato, direttamente o indirettamente, a quelle nebulose che emettendo luce per fluorescenza brillano a tutti gli effetti di luce propria: la nebulosa di Orione, la Rosetta o la Laguna, sono esempi che suonano molto familiari all'astrofilo, visualista o fotografo che sia; a queste dobbiamo chiaramente aggiungere tutto il corteggio delle planetarie — per le quali rimandiamo all'apposita sezione — eccitate da stelle che possono raggiungere i 200.000°C! Tutte queste nebulose presentano, per i meccanismi sopra descritti, uno spettro a righe brillanti.
Esistono, tuttavia, nebulose che brillano di luce riflessa e che di conseguenza alla analisi spettroscopica rivelano uno spettro simile a quello delle stelle situate nei paraggi, vale a dire un fondo continuo solcato da righe scure. Uno degli esempi classici è costituito da M78 che fa sempre parte di quell'immenso complesso nebulare cui appartiene la stessa nebulosa di Orione. Il colore e la luminosità di questi oggetti dipendono, oltre che dall'entità della luce riflessa, anche dalle dimensioni delle particelle che costituiscono la nebulosa; si può avere, cioè, un effetto di diffusione analogo a quello prodotto dal fumo di sigaretta: le minuscole particelle in sospensione, diffondendo maggiormente la luce a lunghezza d'onda minore, conferiscono una colorazione bluastra al fumo e, analogamente, molte di queste nebulose appaiono in fotografia con delicate sfumature tendenti al blu. Visualmente è praticamente impossibile discernere questi colori per la semplice ragione che a livelli molto bassi di luminosità l'occhio perde la sensibilità ai colori. In certi casi, comunque, è possibile notare la differenza tra i due tipi di nebulosa. Forse l'unico esempio eclatante è costituito dalla Trifida che presenta sia la parte a emissione, sia quella a riflessione.

Osservandola con un telescopio di almeno 40 cm. durante una notte molto limpida si nota, in effetti, che la parte a emissione presenta il tipico colore glauco, mentre quella a riflessione tende al viola. Mi piacerebbe che i visitatori facessero quest'esperimento e mi comunicassero le loro impressioni.
Esiste un ultima classe di nebulose: le nebulose oscure. Si tratta di vere e proprie cortine fumogene che nascondono le stelle retrostanti; alcune di queste, molto piccole, si presentano come delle macchioline nerissime dai contorni netti: sono i globuli di Bok, la fucina delle stelle; è qui infatti che in seguito a un collasso gravitazionale durato milioni di anni, s'innescano le reazioni nucleari che accenderanno nuove stelle. A estese nubi scure è dovuta la biforcazione della Via Lattea che contempliamo durante le tiepide notti estive o formazioni caratteristiche come la "Testa di Cavallo".
Dove cercheremo nel cielo queste nebulose? Chiaramente nel piano galattico, in quanto sono associate prevalentemente alle stelle di Popolazione I estrema presenti nei bracci a spirale. Qui le stelle sono giovani, massicce e quindi caratterizzate da un'evoluzione abbastanza rapida, dell'ordine di alcuni milioni di anni; si ha pertanto un costante riciclo del materiale: dalle ceneri di stelle morte rinasceranno nuovi astri splendenti.
[L'osservazione a occhio nudo delle nebulose è limitato a pochissimi esemplari che riportiamo in un'apposita tabella (vedi sotto); va da sé che è necessario avere un cielo particolarmente limpido e possibilmente buio anche verso l'orizzonte]

tabella (clicca)



Con questo termine un po' improprio mi sono permesso di definire quelle nebulose usualmente ritenute "impossibili" da osservare visualmente, ma che, nondimeno, offrono risultati spesso spettacolari in fotografie a largo campo. A differenza dell'emulsione fotografica, infatti, l'occhio è sensibile solo alla luce che riceve in un istante e non permette quindi un'esposizione lunga su un soggetto a bassa luminosità.
Ma quando un oggetto è virtualmente impossibile da osservare?

Deve verificarsi la concomitanza di due fattori: la luminanza superficiale e l'estensione angolare. La prima, detta anche luminosità specifica è la luminosità per primo d'arco quadrato dell'oggetto; più questa è bassa, più l'oggetto fa fatica a staccarsi dal fondo cielo e più critica ne diviene l'osservazione. In questi casi se il fondo cielo non è scuro, anche aumentando l'apertura del telescopio non si risolve gran che, in quanto se da un lato aumenta la luminosità apparente dell'oggetto, aumenta però anche quella del background, col risultato che il debole gradiente di luce rimarrebbe pressoché invariato. Usando il linguaggio informatico potremmo dire che non migliorerebbe il rapporto segnale/rumore. D'altra parte, e qui interviene il secondo fattore, se il soggetto è molto esteso angolarmente, l'impiego di telescopi sempre più grandi non sortirebbe alcun effetto.
Spieghiamoci meglio.
Supponiamo di tentare l'osservazione di NGC 7822, un complesso che racchiude anche la nebulosa denominata Sh2-171, situata in Cefeo. Le dimensioni totali di questa nebulosa sono di un paio di gradi, per cui dovremmo disporre di un campo visivo di almeno 3 gradi: infatti, più un oggetto è superficialmente debole e più ha bisogno di essere contenuto in un campo vasto per poter essere scorto; gli oculari U.W.A. (Ultra Wide Angle) hanno un campo apparente di circa 80 gradi, per cui se ne vogliamo uno effettivo di 3 non dobbiamo spingerci oltre i 26x o 27x (ossia 80 : 3); diciamo che, in cifra tonda, è necessario restare entro i 30x. Ma un ingrandimento del genere si può impiegare al massimo con un 20 cm. Se si utilizzasse un 40 cm. con una potenza così bassa otterremmo, infatti, un cerchio oculare (pupilla d'uscita) di 14 mm. che l'occhio non riuscirebbe assolutamente a sfruttare!

Ricordiamo che il cerchio oculare si ottiene dividendo il Ø dello strumento in millimetri per l'ingrandimento. Dal momento che la pupilla dell'occhio si comporta come un diaframma naturale che, nelle condizioni più favorevoli, si apre mediamente di 7 mm. — un valore che purtroppo decresce con l'età — è evidente che nelle prospettate condizioni di cui sopra esso intercetterebbe una cospicua porzione della luce senza utilizzarla. In altri termini, il nostro 40 cm. funzionerebbe come un 20! E uno strumento da 20 cm. con ogni probabilità non è adeguato per un oggetto così debole.
Spesso per nebulose di questo tipo funziona bene il filtro interferenziale a banda passante strettissima centrato sulla riga H-Beta dell'idrogeno. Ammetto di aver tentato l'esperimento più volte col Comet Tracker, uno strumento da 15 cm. a cortissima focale (F/3.6) che con un grand'angolare da 24.5 mi dava giusto 3 gradi: tutto inutile! Perché, allora, il filtro H-Beta funziona così bene sulla Testa di Cavallo, notoriamente debolissima? Perché essendo questa molto piccola contrasta maggiormente sul background e inoltre, proprio per le ridotte dimensioni angolari, consente l'impiego di aperture molto grandi senza timore di dover mantenere gli ingrandimenti al di sotto di un certo limite.
Un altro soggetto, forse più famoso, che confino nel limbo degli impossibili è l'Anello di Barnard (Sh2-276), una nebulosa situata in Orione che si sviluppa da nord a sud per quasi 7°. Questa potrebbe, teoricamente, essere vista solo in un binocolo a grande campo, se non fosse per il fatto che ha una luminosità specifica inferiore alla IC 434, la nebulosa su cui si staglia la Testa di Cavallo. Ma c'è forse qualcuno che è riuscito a scorgere la Testa di Cavallo in un 10x50 grandangolare? Ne dubito.

Sempre con scetticismo ho accolto l'osservazione di un americano che affermava d'aver visto la Conus Nebula con un telescopio da 25 cm. In questo caso, infatti, bisogna stare molto attenti, perché la conformazione stellare nei pressi di questa nebulosa può trarre in inganno; anch'io avevo creduto d'averla intravista una decina d'anni fa, durante una notte limpidissima in una località sopra Trento; allora avevo un DS-10 (25 cm.) e, per l'occasione, il magico H-Beta; me la immaginavo più piccola, ma sembrava ben evidente; quando però il giorno dopo ho control- lato un'immagine fotografica e l'ho confrontata con uno schizzo effettuato al momento, mi sono reso conto che in realtà non avevo visto un bel niente; ero deluso, ma mi sono dovuto arrendere all'evidenza. Certo che quando vediamo un'immagine come quella qui a destra può anche infastidire constatare che il nostro occhio sia cieco a una tale dovizia di sfumature colorate; d'altra è doveroso ricordare che il genere umano è stato concepito per svolgere una vita diurna e non notturna. Sotto questo aspetto noi astrofili andiamo un po'...contro natura.
A questo punto, però, sia chiaro che non voglio essere tacciato di apoditticità: se accaniti visualisti, di gran lunga più esperti di me, fossero riusciti in imprese come queste sarei felice di saperlo, perché mi sentirei a mia volta spronato a ritentare gli esperimenti. Dopo tutto il bello dell'osservazione visuale, come ho accennato nell'Introduzione, è soprattutto questo!

info prese da:
galassiere




Trascurate, spesso snobbate dalla maggior parte degli astrofili.... Stiamo parlando delle nebulose planetarie che, come in una gigantesca sfera di cristallo, ci annunciano mestamente, sia pur con un anticipo di alcuni miliardi di anni quella che sarà la fine del nostro Sole quando negli ultimi spasimi della sua esistenza eietterà nello spazio gli strati esterni da cui è composto; questi, a rimembranza del suo glorioso passato, riluceranno nel corso di migliaia di anni prima che vengano inesorabilmente dispersi nel mezzo interstellare.
Non riteniamo, tuttavia, che sia per questo motivo che vengono spesso ignorate, ma piuttosto perché non sono poi tante le planetarie osservabili visualmente con strumenti piccoli o medi ed esaurita la dozzina o quindicina di quelle più brillanti volgiamo inevitabilmente lo sguardo altrove. Alcuni di questi oggetti, infatti, pur essendo relativamente estesi, hanno una luminanza superficiale così bassa da risultare difficilmente osservabili in telescopi da 40 centimetri sotto cieli scuri; altre, invece, pur essendo di per sé brillanti sono talmente piccole che a malapena si riescono a distinguere dalle stelle di campo e di sovente l'unico sistema per...scovarle consiste nel far passare, a intervalli, un filtro O III davanti all'occhio per notare quale stella sembra accendersi nel campo dell'oculare; è un espediente molto diffuso fra gli astrofili e, di sovente, l'unico che ci permette di capire in brevissimo tempo la reale natura di ciò che siamo osservando. Ci sono poi planetarie - le più interessanti - che si presentano in forme svariate come bolle, anelli, clessidre e quant'altro la fantasia può escogitare.

Uno degli esempi classici, e senza dubbio uno dei più gettonati, è ovviamente M57, situata nella Lira. Il fatto che appaia ad anello è perché quando la osserviamo al centro l'occhio incontra uno spessore di materia molto inferiore di quello presente ai bordi. Se osservassimo, infatti, M57 con un filtro 0-III (un filtro che sembra studiato apposta per queste nebulose a causa della preponderanza della loro emissione nella riga dell'ossigeno 2 volte ionizzato) ci accorgeremmo senza esitazione che questa planetaria al centro è tutt'altro che scura! La denominazione alquanto impropria di planetaria deriva, con ogni verosimiglianza, da una descrizione che A. Darquier, scopritore ufficiale di M57, aveva fatto di questa nel 1779 definendola "grande come Giove e somigliante a un debole pianeta". C. Messier, che la osservò nello stesso anno, ebbe l'impressione che la chiazza di luce forse composta da stelle ma che tuttavia non gli riusciva di risolvere neppure col miglior telescopio. Non diversa fu l'opinione di W. Herschel che la definì come "probabilmente composta da un anello di stelle". Il rapporto fornito dall'Ammiraglio Smith è senz'altro più simile a ciò che potremmo vedere noi astrofili con un piccolo telescopio senza l'uso di filtri: questi parlò di un anello di luce marcato e nero al centro.Tentiamo per prima cosa, giusto per divertimento, di localizzarla col binocolo, a circa metà strada tra le stelle Beta e Gamma. Non è facile perché pur essendo di nona grandezza — e quindi alla portata di un 10×50 — è angolarmente molto piccola e a meno che il nostro binocolo non renda le stelle di campo ben puntiformi rischieremmo, di confonderla con una di esse! In un 114, al contrario, è un oggetto molto facile che sopporta bene elevati ingrandimenti. Non presenta molti dettagli strutturali, ma è ben contrastata sul fondo cielo, di luminosità pressoché uniforme e coi bordi molto incisi; è chiaramente ovale, con l'asse maggiore orientato da nord-est a sud-ovest. La stellina centrale, di 15-esima grandezza, è sempre stata ritenuta difficilissima da osservare visualmente; siamo a conoscenza di persone che affermano di aver la intravista in un telescopio di 30 cm, ma personalmente non sono mai riuscito a individuarla neppure in un 40 cm a quasi 300 ingrandimenti e in buone condizioni di seeing. La questione rimane dunque aperta.

Anche in questo caso abbiamo pensato di fornire un piccola tabella riassuntiva delle principali planetarie osservabili con strumentazione modesta, fra le quali spiccano ovviamente le 5 di Messier osservabili con un 12×50. Si faccia attenzione a localizzare con esattezza la piccola M76 che nel binocolo è di aspetto quasi stellare, essendo di dimensioni analoghe a M57. Fra l'altro, come si può già intuire dalla figura qui accanto, M76 possiede 2 numeri del catalogo NGC, ossia 650 e 651, quasi si trattasse di due oggetti distinti. Questa è effettivamente l'impressione che si ha osservandola visualmente in un piccolo telescopio, al punto che J. Mallas, esperto visualista e autore assieme a Kreimer di un best-seller su Messier, ne aveva fatto un curioso disegno, osservandola con un rifrattore da 4''. Alcuni visitatori, probabilmente, si stupiranno di vedere nell'elenco M1 che non è propriamente una planetaria, ma le celebri vestigia si una supernova esplosa nel 1054; tuttavia anche M1 ci narra la storia della morte (in questo caso molto violenta!) di una stella, per cui l'accostamento alle planetarie non sembra del tutto fuori luogo.
 
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