antologia di testi astronomici

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Sè#9
icon11  view post Posted on 3/7/2005, 13:58




Galileo Galilei (1564-1642):
- lettere
- dialogo sopra i 2 massimi sistemi del mondo
- atto d'abiura

Joseph Glanvill (1636-1680):
- il telescopio

Bernard de Fontenelle (1657-1757):
- conversazioni sulla pluralità dei mondi

Giorgio Abetti (1882-1982):
- relazioni tra i fenomeni solari e terrestri

Clyde Tombaugh (1906-1997):
- alla ricerca del nono pianeta

Carl Edward Sagan (1934-1996):
- cosmos
 
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Sè#9
view post Posted on 3/7/2005, 14:00




Atto d'abiura
di Galileo Galilei - 1633 -

Io Galileo, figliuolo del quondam Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70, costituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverentissimi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l’eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Offizio, per aver io, dopo d’essermi stato con precetto dall’istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d’essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l’istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d’eresia, cioè d’aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e imobile e che la terra non sia centro e che si muova.

Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d’ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d’eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all’Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.

Giuro anco e prometto d’adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Offizio imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da’ sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio m’aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.

Io Galileo sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.

Io, Galileo Galilei, ho abiurato come di sopra, mano propria.

 
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Sè#9
view post Posted on 3/7/2005, 14:01




Il telescopio
di Joseph Glanvill - 1668 -

Il telescopio è la più eccellente invenzione di tutti i tempi, per assistere l’occhio nella scoperta di oggetti remoti. La distanza dei cieli è talmente grande, che i nostri sensi non aiutati non possono darci che informazioni estremamente imperfette di quel mondo superiore; e le speculazioni che l’Antichità ha costruito sopra di esse sono state in gran parte molto modeste e del tutto false. Ma questi eccellenti occhiali portano le stelle più vicine a noi e ci rendono noti questi immensi mondi di luce. Ci offrono più fenomeni, e dati più veri; disperdono le ombre e le vane immagini della penombra dei sensi nudi, e ci consentono una visione più chiara e più vasta. Attraverso questi vantaggi essi ampliano il nostro pensiero, e ci mostrano una rappresentazione più magnificente dell’Universo: in questo modo i Cieli sono resi più adatti a dichiarare la Gloria di Dio, e noi siamo aiutati a formulare teorie più nobili e meglio fondate. Ho menzionato alcune delle scoperte più notevoli realizzate per mezzo di questi tubi, che trascendono ampiamente tutte le immaginazioni dei tempi passati.

Attraverso un loro ulteriore miglioramento, altre cose potranno essere svelate, molto al di là di quelle che ci sono note. I filosofi contemporanei sono così poco interessati a che la posterità si contenti delle loro scoperte e ipotesi, che sollecitano continuamente nuovi aiuti per se stessi e per chi succederà loro, per un ulteriore progresso nella conoscenza dei fenomeni e nel giudizio su di essi. Questi occhiali sono stati continuamente migliorati sin dall’invenzione di Metius e l’applicazione ai cieli da parte di Galileo Galilei; e molti ingegnosi membri della Royal Society sono ora occupati ad elevarne la qualità. Che successi e informazioni ci si possa aspettare dal progresso di questi strumenti è qualcosa che potrebbe apparire ridicolo e romanzesco suggerire. Poiché senza dubbio, aver parlato di macchie solari, di scabrosità della superficie lunare, o di altre certezze telescopiche, prima dell’invenzione di questi occhiali, sarebbe apparso incredibile e assurdo.

Non oso dunque menzionare le nostre più grandi speranze: ma almeno in questo posso avventurarmi, e che cioè la Posterità potrà attraverso questi tubi, condotti al più alto grado di perfezione, trovare una via sicura per determinare immense questioni come: se la Terra si muova o se i pianeti siano abitati. E chi può dire quale sarà la risposta. Ed è abbastanza probabile che almeno un’altra cosa, alla quale il nostro mondo inferiore è più direttamente interessato, sarà alla fine scoperta, e cioè la molto desiderata scoperta della longitudine. Dalla quale è necessario che seguano anche più grandi progressi della navigazione, e forse la scoperta del passaggio a Nord-Ovest, e l’ancora sconosciuto passaggio del Sud. Qualunque cosa possano pensare di queste aspettative le menti ristrette e volgari, le cui teorie e speranze sono confinate nei loro sensi, basterà considerare che un esperimento ci ha reso nota la vasta America per non scoraggiarsi.
 
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Sè#9
view post Posted on 3/7/2005, 14:03




Conversazioni sulla pluralità dei mondi
di Bernard de Fontenelle - 1686 -

Come la Terra sia un pianeta che gira su se stesso e intorno al Sole

Una sera, dopo cena, andammo a passeggiare nel parco. Un fresco delizioso ci ricompensava della giornata caldissima che avevamo sopportato. La Luna era sorta forse da appena un’ora, e i suoi raggi, che ci venivano fra i rami degli alberi, mischiavano gradevolmente il loro bianco vivo con tutto quel verde che sembrava nero. Non una nuvola che potesse nascondere od oscurare la minima stella; erano tutte di un oro puro e splendente, cui dava rilievo il fondo blu al quale erano appese. Quello spettacolo mi fece sognare e forse senza la marchesa avrei sognato a lungo; ma la presenza di una così amabile signora non mi permise di abbandonarmi alla Luna e alle stelle.

"Non trovate", le dissi "che neppure il giorno è così bello come una bella notte?"

"Sì", mi rispose, "la bellezza del giorno è come una bellezza bionda, che è più brillante, ma la bellezza della notte è una bellezza bruna, più commovente".

"Siete molto generosa a dare questo vantaggio alle brune, voi che non lo siete. Tuttavia è vero che il giorno è ciò che vi è di più bello nella natura, e che le eroine dei romanzi, che sono quello che vi è di più bello nell’immaginazione, sono quasi sempre bionde".

"La bellezza non è niente" ella replicò, "se non colpisce. Confessate che il giorno non vi avrebbe mai immerso nel dolce sogno nel quale vi ho visto sul punto di scivolare poco fa, alla vista di questa bella notte".

"Ne convengo", risposi, "ma una bionda come voi mi farebbe sognare ancora meglio della più bella notte del mondo, con tutta la sua bellezza bruna".

"Anche se questo fosse vero" replicò lei, "non me ne contenterei. Vorrei che anche il giorno, poiché le bionde ne condividono gli interessi, facesse lo stesso effetto. Perché gli amanti, che sanno giudicare quello che è commovente, si rivolgono sempre solo alla notte, in tutte le canzoni e in tutte le elegie che conosco?"

"Ma è giusto che la notte abbia i loro ringraziamenti", dissi io.

"Ma ha pure tutti i loro lamenti", riprese lei. "Il giorno non attira le loro confidenze; da che cosa dipende?"

"È perché, apparentemente", risposi, "non ispira nulla di triste e di appassionato. Durante la notte sembra che tutto sia a riposo. Si pensa che le stelle si muovano più silenziosamente del Sole, che gli oggetti che il cielo mostra siano più dolci, che la vista vi si possa soffermare più comodamente; infine si sogna meglio, perché si presume di essere la sola persona, in tutta la natura, intenta a sognare. Forse lo spettacolo che offre il giorno è troppo uniforme, in fondo non ci sono che un Sole e una volta azzurra, ma può darsi che la vista di tutte queste stelle confusamente disseminate e disposte a caso in mille figure diverse, favorisca il fantasticare, e un certo disordine di pensieri nel quale si cade volentieri".

"Io ho sempre provato quello che mi state dicendo", riprese lei, "amo le stelle e quasi quasi rimprovero al Sole di nasconderle alla nostra vista".

"Ah!" esclamai, "io non posso perdonargli di farmi perdere di vista tutti quei mondi".

"Che cosa chiamate tutti quei mondi?" disse lei voltandosi verso me.

"Vi chiedo scusa", risposi. "Avete provocato la mia follia e subito la mia immaginazione ha preso il volo".

"Qual è questa vostra follia?" domandò lei.

"Ahimè!" replicai, "mi dispiace molto di dovervelo confessare, ma mi sono messo in testa che ogni stella potrebbe benissimo essere un mondo. Non potrei tuttavia giurare che questo sia vero, ma io lo considero vero, perché mi fa piacere crederlo. E’ un’idea che mi piace e che si è collocata nel mio spirito in un modo gradevole. Secondo me, un certo diletto è necessario non solo alle verità".

"Ebbene", riprese lei, "poiché la vostra follia è così piacevole, trasmettetela anche a me; sono disposta a credere tutto ciò che vorrete sulle stelle, purché ne tragga del diletto".

"Ah! Signora", risposi subito, "non si tratta di un diletto simile a quello che avreste assistendo a una commedia di Molière; è un piacere che si trova in non so quale angolo della ragione, e che fa ridere solo lo spirito".

"Come", riprese lei, "credete allora che io sia incapace di provare dei piaceri che si trovano esclusivamente nella ragione? Vi proverò il contrario, parlatemi delle vostre stelle".

"No", replicai, "non voglio che mi si rimproveri di aver parlato di filosofia in un bosco, alle dieci di sera, alla più amabile persona che io conosca. Dovrete cercare altrove i vostri filosofi".
 
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Sè#9
view post Posted on 3/7/2005, 14:06




Relazioni tra i fenomeni solari e terrestri
di Giorgio Abetti - 1966 -

La vita della Terra è soggetta e dominata da quella del Sole ed è quindi evidente che le sue radiazioni regolari, cioè di carattere continuo, e irregolari, di carattere discontinuo, debbano avere una notevole influenza sui fenomeni che si svolgono sulla Terra. Già nella prima metà dell'Ottocento è stato scoperto che le radiazioni solari hanno una diretta influenza sul campo magnetico terrestre, sia con variazioni regolari, sia irregolari, secondo le condizioni della variabile attività del Sole. Ma il modo come questa influenza si propaghi e agisca sul campo magnetico terrestre non poteva essere messo in evidenza altro che con le continue osservazioni, condotte con diversi strumenti e metodi, dei fenomeni solari da un lato e dei fenomeni terrestri dall'altro. Così a poco a poco si svelava che tutta una classe di questi secondi dipende dal Sole, ma mentre le relazioni di alcuni di essi sono oggi abbastanza bene messe in evidenza, per altre occorrono ancora continuate osservazioni e ricerche.

Nel caso del magnetismo terrestre le osservazioni ininterrotte delle tre componenti, orizzontale, verticale e declinazione, ci informano che le variazioni diurne, stagionali e secolari sono in stretta correlazione coni fenomeni solari. Il Sole emette, nelle maggiori frequenze, radiazioni di diversa lunghezza d'onda che si propagano con la velocità della luce e ancora radiazioni corpuscolari con velocità molto inferiore, comprese fra i limiti di 350 e 2000 Km/s. Quando queste radiazioni di varia natura, provenienti direttamente dai brillamenti o in genere dalle regioni perturbate del Sole investono la Terra, producono disturbi caratteristici nel suo campo magnetico i quali vengono registrati dagli strumenti, che seguono con continuità l'andamento delle tre componenti. Si hanno in tal modo delle cosiddette "tempeste magnetiche". I risultati statistici portano alle seguenti conclusioni:

1- l'inizio delle tempeste si verifica circa 1,5 giorni dopo il passaggio di grandi macchie solari per il meridiano centrale del Sole, mentre la massima intensità si registra generalmente 2 giorni dopo;
2- la correlazione fra la presenza delle macchie e le perturbazioni geomagnetiche è buona per le grandi macchie di area di circa 1000 milionesimi del disco solare, mentre non esiste più per macchie di area inferiore;
3- si ottiene una migliore correlazione se si limita il confronto alle macchie che presentano brillamenti. Quando questi sono eccezionalmente intensi sono sempre seguiti da forti tempeste magnetiche, mentre i più frequenti brillamenti meno intensi sono statisticamente accompagnati da un aumento dell'attività geomagnetica;
4- al minimo delle macchie solari, quando praticamente non accadono brillamenti, si verificano tuttavia tempeste geomagnetiche.

Ne segue di solito che quelle di minore intensità non richiedono la presenza di brillamenti. Le osservazioni informano che la nube corpuscolare viene emessa dal Sole in un cono con un'apertura semiangolare di circa 45 gradi. Soltanto per brillamenti di importanza 3 o 3+ l'intero cono viene riempito con una densità sufficiente a produrre una tempesta geomagnetica. Mentre le grandi macchie solari possono durare per parecchie rotazioni del Sole, le grandi tempeste magnetiche da esse prodotte non presentano una ricorrenza di 27 giorni. Ciò è conseguente al fatto che l'attività dei brillamenti, associata con una macchia, dura meno di una rotazione e che la presenza dei brillamenti è importante per la produzione delle grandi tempeste magnetiche. Per le piccole invece si ha una persistenza che si ripete con un periodo di 27 giorni, la cui origine si fa risalire a possibili centri di attività solare: le "regioni M" ["sorgenti di sciami di corpuscoli ionizzati che arrivano sulla Terra dopo circa 2 giorni, producendo perturbazioni nel campo magnetico terrestre", p. 141]. Si ha ragione di credere che il fenomeno che si sviluppa nelle regioni M sia costituito dal complesso dei filamenti e conseguenti condensazioni nei pennacchi coronali. Si trova infatti che uno sviluppo dell'area dei filamenti attorno il meridiano centrale del Sole avviene da 3 a 5 giorni prima che si presenti una perturbazione M sulla Terra. Questo fatto suggerisce che i filamenti stessi siano sorgenti di radiazione corpuscolare e le perturbazioni nel magnetismo terrestre prodotte dalle regioni M debbano propagarsi con velocità da 350 a 600 Km/s. Si ricordi ancora che i filamenti protuberanze sono quasi sempre circondati, come risulta dalle fotografie fatte durante le eclissi totali di Sole, da involucri concentrici, come condensazioni di vario splendore intervallati da spazi oscuri. Frequentemente le strutture di questi grandi involucri a cupola continuano nella corona esterna e terminano con un lungo pennacchio coronale. E quindi probabile che filamenti-protuberanze e condensazioni coronali siano responsabili delle regioni M. Quest'ipotesi viene anche confermata dalla notevole persistenza della sequenza di 27 giorni nell'attività geomagnetica, in confronto alle breve durata delle altre simili perturbazioni. Si può infatti pensare che gli sciami corpuscolari si estendano come i filamenti in lunghezza e ruotino col Sole. In alcune fotografie di eclissi totali si ha l'impressione che i pennacchi coronali siano involucri tridimensionali dei lunghi ed estesi filamenti. La scoperta delle radiazioni corpuscolari emesse dal Sole ci dispensa dal credere che le macchie le quali, come si è visto, sono magneti giganti, siano direttamente responsabili dei fenomeni elettromagnetici che si producono sulla Terra. Si può invece fare l'ipotesi che il campo magnetico esterno della Terra, misurato finora soltanto sulla sua superficie, possa venire perturbato da correnti elettriche che fluiscono attorno ad essa. Se ciò accade, la formazione di una tempesta geomagnetica potrebbe verificarsi in seguito all'emissione da parte del Sole di uno sciame di corpuscoli che si propaga con la velocità di circa 1500 Km/s. La sua estensione, piccola in confronto alle dimensioni del Sole, va man mano allargandosi nel suo viaggio verso la Terra. Avvicinandosi a questa esso entra nel suo campo magnetico, il quale induce nello sciame stesso che è ionizzato, cioè composto soltanto di protoni e di elettroni, una corrente elettromagnetica. In conseguenza lo sciame viene frenato dalla forza esercitata dal campo geomagnetico sulla corrente indotta e si arresta a una conveniente distanza dalla Terra. Ma questa corrente a sua volta produce un altro campo magnetico, che si sovrappone a quello della Terra e genera quella perturbazione che viene registrata dai nostri strumenti sulla superficie terrestre nelle tre componenti del campo geomagnetico.

Un altro fenomeno la cui dipendenza dalle tempeste solari è bene evidente, è quello delle aurore polari la cui frequenza segue le perturbazioni geomagnetiche e quindi le cause che le producono debbono essere le stesse. E ben noto che le aurore boreali e australi hanno come centro geometrico i poli magnetici rispettivamente nord e sud e attorno a questi si presentano con maggiore frequenza, specialmente durante i massimi dell'attività solare, mentre a latitudini più basse sono molto rare. Riferendosi a stelle visibili nel cielo insieme alle aurore, a mezzo di triangolazioni, si è determinato che esse si producono nell'alta atmosfera terrestre fra 90 e 1000 chilometri dalla superficie della Terra. [...]

Anche le righe di Balmer dell'idrogeno sono presenti nello spettro delle aurore; nel 1951 Meinel, osservando con lo spettrografo puntato in direzione dello zenit magnetico verso un'aurora brillante, notava che la riga H alfa presentava spostamenti Doppler. Di più il profilo di H alfa era nettamente asimmetrico e l'ala violetta indicava velocità dei protoni di almeno 3300 Km/s. Gli spettri ottenuti puntando l'aurora verso il polo magnetico presentavano la riga allargata ma non spostata. Questa scoperta da una buona conferma che le aurore, come le tempeste geomagnetiche, debbono essere prodotte dall'arrivo di sciami corpuscolari provenienti dal Sole. Da queste osservazioni si dovrebbe concludere che gli sciami producenti le aurore, quando arrivano in vicinanza della Terra, vengono accelerati e quindi entrano nella sua atmosfera con una velocità maggiore di quella con la quale essi compiono il tragitto Sole-Terra.

Stormer e altri investigatori hanno sviluppato teorie con le quali è possibile calcolare le traiettorie degli sciami di corpuscoli provenienti dal Sole. Questi, avvicinandosi alla Terra sotto l'influenza del campo magnetico terrestre, si affollano attorno ai suoi poli magnetici ed entrano in collisione con gli atomi della ionosfera. La teoria è in accordo con le manifestazioni e altezze delle aurore, la latitudine della zona di massima frequenza e il fatto che le aurore che arrivano fino a basse latitudini sono sempre accompagnate da tempeste geomagnetiche.

Secondo la teoria di Stormer i raggi catodici sono curvati verso la Terra già a una grande distanza da essa, avvicinandosi così alle regioni polari dove essi producono le aurore sulle regioni terrestri non illuminate dal Sole; anche molte altre traiettorie incontrano la Terra, specialmente nelle regioni antartiche. Gli strati ionizzati dell'alta atmosfera terrestre costituiscono quel complesso chiamato "ionosfera", studiato con grande dettaglio dai radiotecnici, così che si conoscono oggi le sue caratteristiche e le sue perturbazioni collegate strettamente con quelle del Sole. E noto che si distinguono nella ionosfera quattro strati principali: D, E, F1 e F2. Le loro altezze sono maggiori in inverno che non in estate, variando da circa 100 a 200 chilometri con determinate concentrazioni di elettroni. Durante il massimo di attività solare lo strato F2 può arrivare all'altezza di 400 chilometri con una massima concentrazione di elettroni per centimetro cubo di 6.8´105.

Varie teorie sono state sviluppate per spiegare la formazione, equilibrio e variabilità di questi strati per effetto delle radiazioni solari. Chimicamente essi non differiscono dagli altri strati dell'atmosfera terrestre, ma essendo sottoposti all'intensiva radiazione e ai raggi Röntgen emessi dal Sole i loro atomi di azoto e di ossigeno vengono più o meno ionizzati. Quanto più forte è l'azione del Sole, tanti più elettroni vengono allontanati dagli atomi e gli strati diventano sempre più conduttori dell'elettricità. La teoria informa che la più breve lunghezza d'onda che può venire riflessa dalla ionosfera, cioè la cosiddetta "frequenza limite", dipende direttamente dal numero di elettroni che si trovano nell'unità di volume della ionosfera. Oggi questa frequenza limite viene determinata con continuità in molte stazioni sparse su tutta la Terra e si è trovato che il suo andamento segue fedelmente le vicende dell'attività solare. È così possibile prevedere con notevole precisione le condizioni della ionosfera in base a quelle del Sole e stabilire le frequenze più favorevoli per le trasmissioni delle varie lunghezze d'onda.

Verso il 1930 si portava l'attenzione sul fatto che segnali radio di breve lunghezza d'onda talvolta e senza apparente ragione si indebolivano o addirittura scomparivano con evanescenze della durata di parecchi minuti e ritornavano poi normali. Successivamente si constatava che il fenomeno si verificava sull'emisfero della Terra illuminato dal Sole; inoltre che l'evanescenza era accompagnata da perturbazioni del campo magnetico terrestre. Questo fenomeno che è anche conosciuto col nome di "effetto Mogel-Dellinger", dai due investigatori che lo hanno messo in evidenza e studiato, accade quando si verificano dei brillamenti sul Sole. Questi emettono intense radiazioni di grande frequenza, che passano indisturbate attraverso i più alti strati E e F della ionosfera, ma arrivati allo strato D, dove il numero degli atomi nell'unità di volume è maggiore, gli elettroni liberi urtano con gli atomi, e le radioonde vengono smorzate. Quando le radiazioni del brillamento, che si propagano alla velocità della luce, arrivano allo strato D, questo si addensa e assorbe più o meno completamente le radioonde terrestri, con il conseguente fenomeno dell'evanescenza nelle nostre trasmissioni sulle regioni della Terra illuminate dal Sole.

Come esempio tipico dei fenomeni terrestri provocati da un intenso brillamento si può citare quello in luce bianca del 23 marzo 1958. Le registrazioni del magnetismo terrestre a Resensberg in Svizzera presentarono alle 10:00 (tempo universale) l'inizio di una tipica perturbazione prodotta da quella solare. Il suo massimo si registrò nell'intensità orizzontale e nella declinazione alle 10:15 ed ebbe termine alle 11:30. La perturbazione massima arrivò in declinazione fino a -10 primi d'arco, nell'intensità orizzontale -56´10-3 gauss e nell'intensità verticale -18´10-3 gauss. Sulla frequenza di 27KHz la registrazione dei parassiti atmosferici salì rapidamente alle 10:00 al doppio del suo valore normale. L'effetto Mogel-Dellinger si verificò con un'intensità notevolissima dalle 9:57 alle 15:30. Tutte le comunicazioni europee a onde corte furono interrotte, mentre quelle sulla lunghezza d'onda attorno ai 4 Km non furono disturbate nel corso del brillamento.

Infine notevoli perturbazioni geomagnetiche e ionosferiche, molto probabilmente causate da questo brillamento, si verificarono il 25 e il 26 marzo.

 
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Sè#9
view post Posted on 3/7/2005, 14:07




Alla ricerca del nono pianeta
di Clyde Tombaugh

Clyde Tombaugh scoprì Plutone nel 1930, quando stava lavorando al Lowell Observatory (Flagstaff, Arizona).

Molti articoli sono stati scritti e pubblicati sulla trionfale scoperta di Plutone. Come unico membro ancora in vita del gruppo che lavorò al Lowell Observatory in quell'anno così deludente che fu il 1929, ritengo che possa destare qualche interesse narrare gli umori e le emozioni provate dalle persone di quel gruppo. Traccerò un breve resoconto per illustrare la situazione e le circostanze precedenti.

Nel periodo fra il 1905 e il 1907 venne effettuata una prima ricerca fotografica con lenti da 5 pollici (1 pollice corrisponde a 2,54 cm [N.d.T.]), in modo da avere un campo di 5 gradi lungo il Piano Invariabile, che è inclinato di 1,6 gradi sull'eclittica. Percival Lowell esaminò le coppie di fotografie sovrapponendo una lastra sopra l'altra e utilizzando una lente d'ingrandimento. A quel tempo, però, Plutone si trovava fuori dalla striscia analizzata, e inoltre era troppo debole per essere registrato.

Analizzando attentamente le anomalie dell'orbita di Urano, Lowell sperava di predire la posizione del pianeta X nel cielo: il risultato fu la zona della Bilancia. Nel 1911 venne effettuata una ricerca fotografica con il riflettore da 40 pollici, usando pose di circa dieci minuti, ma a causa dell'aberrazione tangenziale il campo era limitato ad un grado. Dopo un anno questo sistema venne abbandonato.

Fra il 1914 e il 1916 Lowell prese in prestito dallo Swarthmore College una fotocamera da 9 pollici furono fatte circa 1000 lastre su una considerevole porzione di cielo. Curiosamente, soltanto due di queste fotografie contenevano l'immagine di Plutone, vicino al margine della lastra. Allora il Lowell Observatory possedeva un Carl Zeiss Blink-Comparator per esaminare le coppie di fotografie, ma le immagini di Plutone vennero tralasciate. Rimasi stupito quando venni a sapere che quelle due lastre erano state fatte rispettivamente il 19 marzo e il 7 aprile 1915: era infatti il periodo peggiore per la rilevazione di Plutone. Ma allora non si conosceva il vantaggio dell'opposizione: considerando la posizione del pianeta nel 1915, quelle lastre si sarebbero dovute fare in dicembre. La filosofia del "trova svelto" sembrava dominare quelle prime ricerche e si traduceva in procedure improprie: tra l'altro si stava cercando un pianeta di 13a magnitudine, ossia 10 volte più luminoso di Plutone.

Nel 1915 Lowell spostò la zona su cui concentrare le ricerche nel Toro orientale. Questa regione si trova nella Via Lattea: le lastre erano estremamente ricche di stelle e perciò i tempi per esaminarle si allungarono.

Il 16 novembre 1916 Percival Lowell morì improvvisamente di infarto all'età di 61 anni: era ormai un uomo scoraggiato e stanco. Per i tredici anni seguenti non venne fatta più alcuna ricerca.

La vedova di Lowell tentò di impugnare le volontà testamentarie riguardo all'osservatorio. Sfortunatamente questo amaro litigio si trascinò per 10 anni, sottraendo le risorse dell'osservatorio per le spese giudiziarie e per le esose parcelle degli avvocati. Tutto ciò determinò una drastica riduzione dei fondi per le pubblicazioni e per l'acquisto di una fotocamera più potente.

Finalmente Guy Lowell divenne l'unico amministratore dell'osservatorio. Nel 1925 egli acquistò alcuni dischi di vetro da 13 pollici dalla vedova del reverendo Joel Metcalf, sperando che in seguito ci sarebbero stati fondi disponibili per completare la fotocamera. Guy Lowell morì nel 1927, e l'amministrazione passò a Roger Lowell Putnam, nipote di Percival: egli era convinto che il "pianeta dello zio Percy" sarebbe stato trovato. Dopo aver ricevuto risposte negative ad alcune richieste di fondi, Roger convinse suo zio, il dottor A. Lawrence Lowell, allora presidente dell'Harward University, a versare 10.000 dollari: si riuscì a far bastare la somma per completare l'acquisto degli strumenti, che vennero montati nell'officina dell'osservatorio.

Con i fondi assicurati, V.M. Slipher si tuffò nell'elaborazione del progetto. La questione più difficile era trovare un ottico altamente competente per rifinire le lenti dell'obiettivo, che doveva essere un astrografo di tre elementi del tipo Cooke. L'ottico scelto fu C.A.R. Lundin della ditta Alvin Clark, il quale aveva preparato il riflettore da 40 pollici per Lowell. Il montaggio venne ritardato poiché una delle lenti era stata resa troppo sottile; infine venne il terribile conto di 6.000 dollari: Roger inviò a Lundin un assegno per l'ultimo pagamento.

A questo punto entrai in scena io. Nel 1928 avevo fatto vari disegni di Giove e Marte all'oculare del mio nuovo riflettore da 9 pollici, presso Fall, nel Kansas occidentale. Decisi di mandarli al Lowell Observatory. Forse i mio disegni furono paragonati alle loro fotografie: comunque, Slipher rimase favorevolmente impressionato e mi invitò ad aggregarmi al suo gruppo per un periodo di prova di tre mesi.

Dopo aver passato ventotto ore in un vagone della linea di Santa Fe, giunsi a Flagstaff nel primo pomeriggio del 15 gennaio 1929. Il dottor Slipher mi incontrò alla stazione e mi portò in automobile su Mars Hill. La foresta di pini gialli era in netto contrasto con le brulle pianure del Kansas occidentale. Ero alquanto spaventato da tutto ciò: tutti erano estranei per me, mi trovavo a 1.000 miglia da casa e nel mio portafoglio non c'era abbastanza denaro per un biglietto di ritorno. Slipher mi assegnò una camera al secondo piano dell'Administration Building (ora conosciuto come Slipher Building).

Il giorno dopo fui portato nella nuova cupola e mi venne mostrato il telescopio da 13 pollici; Stanley Sykes e suo figlio stavano installando alcuni comandi manuali sulla struttura. Per la prima volta mi fu detto che il nuovo telescopio doveva trovare il pianeta X predetto dal Lowell: la cosa mi parve stimolante.

La lente da 13 pollici arrivò dalla ditta Alvin Clark l'11 febbraio e venne fissata alla fine del tubo di acciaio; le settimane seguenti furono dedicate alla prova dello strumento.

Benché al principio fossero state usate lastre da 11x14 pollici, Slipher decise di utilizzarne altre da 14x17 pollici. Si costruirono grandi pannelli di legno che avrebbero sorretto le fotografie e le avrebbero piegate secondo l'esatta curvatura di Petzval. Ogni lastra veniva messa a punto su uno speciale tavolo graduato nella camera oscura prima di essere sistemata nel telescopio. La messa a fuoco era problematica, con una tolleranza di appena un quinto di millimetro in una lunghezza focale di 1.700 millimetri.

Durante l'ora di posa nel freddo della cupola, alcune lastre si spezzavano in due con un fracasso che mi faceva sussultare. Slipher sembrava rassegnato ad accettare che qualche lastra si rompesse, ma io no: il programma di osservazione era già abbastanza fitto per dover ripetere le pose. Dovetti escogitare un sistema per evitare la rottura delle lastre: cambiando l'ordine di bloccaggio delle viti sul retro dei pannelli, le lastre non furono più sottoposte a tensione e gli incidenti cessarono del tutto.

Un altro dei primi problemi fu una vibrazione del meccanismo di controllo a determinati angoli orari: era necessario maneggiare con energia la manopola est-ovest. Tale fatto preoccupò molto Slipher, poiché questo tipo di controllo poteva stancare ben presto l'osservatore. Io provai a mettere il telescopio un po' fuori equilibrio, muovendo i contrappesi sull'asse di declinazione: in tal modo il meccanismo di controllo era costretto ad esercitare una torsione un poco più intensa. Ciò avrebbe tenuto le viti senza fine in contatto costante con i denti dell'ingranaggio da 4 piedi (1 piede corrisponde a 30,48 cm [N.d.T.]): così la pulsazione venne eliminata e il controllo durante le lunghe pose diventò più agevole.

Ben presto si presentò un altro problema: le doppie immagini. Mentre stavo controllando una posa di un'ora, si verificò un improvviso quanto debole movimento sull'asse di declinazione, che spostò la stella guida di circa 15 o 20 secondi di arco dalla croce di riferimento. Rapidamente riportai la stella guida sulla croce, ma dopo lo sviluppo la immagini di tutte le stelle risultarono doppie.

Ciò accadde nuovamente su un'altra lastra alcune notti più tardi. Tentai di stringere le ghiere sull'asse di declinazione, ma non riuscii ad eliminare la "tosse" finché non furono tanto strette da non poter più muovere il telescopio in declinazione. Notai che la "tosse" si verificava sempre a 0h 42m dal meridiano celeste: perciò, quando una posa doveva passare per quest'angolo critico, iniziavo la procedura di rotazione del telescopio verso ovest, in modo da far "tossire" l'asse prima di cominciare la posa. Ciò mise fine alle doppie immagini.

Sorsero ancora altri problemi. La fotocamera era sensibile alla "stabilità di seeing" che poteva essere ignorata con fotocamere più piccole. Trovai che le immagini con seeing 2 non combaciavano bene con quelle prese con seeing 4.

È della massima importanza avere una coppia di lastre che coincidono per qualità e magnitudine delle immagini. Era un vantaggio poter prendere le lastre quanto più vicino possibile al meridiano celeste: se non si poteva, la lastra gemella doveva essere presa vicino al medesimo angolo orario, per via del differente indice di rifrazione dell'atmosfera. Dovevo programmare la posa delle lastre gemelle durante una notte con la medesima qualità di seeing. Inoltre, se c'era una leggera foschia, prolungavo la posa di 10 o 15 minuti oltre l'ora per ottenere lo stesso grado di magnitudine.

Si tramanda che il filosofo greco Socrate abbia detto: "Conosci te stesso". Io dico: "Conosci il tuo telescopio".

Nell'aprile del 1929 la ricerca del pianeta poté davvero prendere inizio. Da quando era stata aggiornata, la posizione scelta da Lowell non era stata mai nei Gemelli: Slipher volle fotografare immediatamente questa costellazione. Furono necessarie tre paia di lastre da 14x17 pollici per coprire l'ampiezza dei Gemelli: la scala era di 30 millimetri per grado.

Tra la fine di aprile e l'inizio di maggio, Slipher esaminò le coppie di lastre dei Gemelli in due settimane: troppo velocemente per passare in rassegna circa 700.000 stelle. Infatti non vide le immagini di Plutone nella coppia di Delta Geminorum. I progressi nell'osservazione sono inversamente proporzionali al numero si stelle che uno deve prendere in esame; e la densità di stelle nella Via Lattea era impressionante: più di 400.000 stelle per lastra dei Gemelli occidentali!

Ero appena salito dalla camera oscura, quando vidi V.M. Slipher intento a rimuovere l'ultima coppia di lastre dal Blink-Comparator. "Hai trovato il pianeta X?", chiesi. "No, non ho trovato nulla", rispose con voce rassegnata: sembrava essere molto triste, come se fosse svanita ogni speranza. Egli aveva subito una sconfitta e lo sapeva: forse il pianeta X si trovava in qualche altra zona dello Zodiaco. Poiché avevano altro da fare, gli altri membri del gruppo non potevano dedicare molto tempo al difficile compito di osservazione delle lastre.

Mi sono chiesto spesso cosa ci si potesse aspettare di vedere su lastre prese così lontano dall'opposizione. A quel tempo, inoltre, tutti gli asteroidi dei Gemelli dovevano muoversi verso est, dopo un breve periodo stazionario: e anche Plutone si doveva trovare un po' dopo il suo punto stazionario occidentale. Comincia a pensare che Slipher fosse sotto pressione: ma ora c'era la super-fotocamera, e il pianeta X poteva essere trovato più facilmente.

Verso la metà di giugno era stato accumulato un centinaio di lastre, ma solo alcune coppie erano state esaminate. Ero spossato per un pesante turno di due settimane al telescopio, quando Slipher venne nel mio ufficio e mi manifestò la sua volontà di farmi esaminare le lastre: rabbrividii alla prospettiva di questo compito così sgradevole. Dopo aver passato in rassegna un paio di coppie, mi chiesi come avrei potuto distinguere un asteroide vicino al suo punto stazionario dal pianeta X.

Durante la stagione piovosa, studiai le posizioni di Urano e Nettuno in base all'American Ephemeris del 1928 e del 1929. Il vantaggio di prendere le lastre all'opposizione divenne ovvio: inoltre, per una data regione dello Zodiaco, c'era un solo mese di osservazione.

Nel settembre 1929 cominciai a prendere lastre nei Pesci e le esaminai durante il successivo periodo di luna piena. In quasi tutte le coppie di lastre mi imbattei in alcuni falsi pianeti di 16a e 17a magnitudine. Essi si trovavano spesso oltre il campo della fotocamera da 5 pollici e perciò era necessario fare una verifica con una terza lastra. Tre fotografie invece di due, inoltre, permettevano di scegliere la coppia migliore per il confronto. Ogni mese susseguente spostavo il campo di osservazione di 30 gradi verso est per farlo coincidere con la regione di opposizione. Quando raggiunsi la Via Lattea nel Toro, il gran numero di stelle mi costrinse a rallentare l'esame delle lastre.

Nel gennaio 1930 fotografai nuovamente i Gemelli: nella limpida notte del 21 presi la prima lastra della zona di Delta Geminorum. Subito dopo che ebbi iniziato la posa, si levò un forte vento da nord-est e la stella guida di 3a magnitudine cominciò a tremolare in modo alquanto turbolento: la sua immagine si dilatò fino al doppio del diametro angolare di Giove e al tempo stesso si affievolì. Non avevo mai visto nella mia vita un seeing peggiore di quello: tuttavia continuai la posa sino alla fine dell'ora e per quella notte non presi altre lastre. Le immagini risultarono assai dilatate, ma quella di Plutone apparve al posto giusto, coerentemente con gli spostamenti sulle lastre del 23 e del 29 gennaio: li rilevai alle 4 pomeridiane del 18 febbraio 1930.

Negli anni seguenti, 1931 e 1932, fotografai due strisce di cielo, una per ogni lato dello Zodiaco. Dopo aver scoperto l'inclinazione di 17 gradi dell'orbita di Plutone, risultò facile cercare il pianeta in un'area più ampia. Calcolai sempre la necessaria sovrapposizione quando c'era un vuoto fra regioni di lastre adiacenti. Proseguii la ricerca a distanze sempre maggiori dallo Zodiaco fino al 1943, quando la seconda guerra mondiale mi impegnò come insegnante di navigazione presso la scuola della Marina allestita nell'Arizona State College, a Flagstaff.

Il 1929 fu un anno frenetico, soprattutto se paragonato al 1930, anno trionfale della scoperta di Plutone.

Un'ultima ombra: dopo la scoperta, la signora Lowell volle chiamare il nuovo pianeta "Lowell". Ma ben presto cambiò idea e volle che il pianeta si chiamasse come lei, "Constance". Questa faccenda passò come una palla di piombo all'osservatorio e V.M. Slipher scelse di ignorarla. E magari al posto del plutonio ci sarebbe potuto essere il "costanzio"!
 
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Sè#9
view post Posted on 3/7/2005, 14:10




Autori

Giorgio Abetti (1882 - 1982)
Giorgio Abetti fu direttore dell'osservatorio di Arcetri dal 1922 al 1952: prese così il posto del padre Antonio, che diresse l'osservatorio dal 1893 al 1921.
Compì numerose ricerche di fisica solare, sulle quali scrisse vari libri.


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Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657 - 1757)
Letterato e figura di primo piano della scienza francese, è considerato un precursore dell'illuminismo. Noto per l'attività di divulgazione filosofica e scientifica, fu membro dell'Académie Française e sostenitore del razionalismo cartesiano: fu segretario perpetuo dell'Académie des Sciences, della quale scrisse una monumentale storia in 42 volumi.
Nel 1686 pubblicò le Conversazioni sulla pluralità dei mondi, caratterizzate da uno stile brillante e arguto: l'autore immagina di intrattenere amabilmente una gentildonna sulle grandi scoperte astronomiche del secolo, sostenendo la teoria copernicana e ammettendo la vita su altri pianeti.


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Galileo Galilei (1564 - 1642)
Fisico, matematico e astronomo italiano, può essere considerato uno dei massimi scienziati di tutti i tempi. Per guardare il cielo, fu il primo ad utilizzare un telescopio, che gli permise di compiere alcune importanti osservazioni: scoprì i quattro satelliti maggiori di Giove, analizzò le macchie solari e studiò i rilievi lunari.
Fermamente contrario ad accettare acriticamente il principio di autorità che imponeva di accogliere come vere le posizioni degli antichi filosofi e delle sacre scritture, Galileo fu un convinto sostenitore dell’indipendenza della scienza dalla fede, come emerge anche dalle numerose lettere che egli scrisse.

Nel Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, pubblicato nel 1632, prese posizione a favore del modello copernicano e delle nuove teorie scientifiche contro le antiche dottrine aristoteliche. Fu per questo processato e condannato dall’inquisizione: abiurò per evitare il carcere a vita.


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Joseph Glanvill (1636 - 1680)
Filosofo puritano inglese, educato a Oxford, fu cappellano di corte di Carlo II dal 1672. Grande ammiratore di Bacon e Descartes, si appassionò alla filosofia sperimentale, sostenendo il meccanicismo cartesiano e l'empirismo di Locke.
Una delle sue opere principali è Plus Ultra: or the Progress and Advancement of Knowledge since the Days of Aristotle, nella quale, tra le altre cose, parla con toni entusiastici del telescopio.


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Carl Edward Sagan (1934 - 1996)
Astronomo e studioso delle atmosfere planetarie, ha partecipato alle ricerche sull'origine dei segnali radio provenienti dallo spazio e ha formulato interessanti ipotesi sull'origine della vita sulla Terra.
Il grande pubblico lo conosce come un abile scrittore: come divulgatore scientifico (Cosmos è del 1980) e come romanziere (Contact, 1985).


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Clyde Tombaugh (1906 - 1997)
Astronomo statunistense, il 18 febbraio 1930 scoprì il pianeta Plutone confrontando alcune fotografie della stessa regione celeste (nella costellazione dei Gemelli).
 
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6 replies since 3/7/2005, 13:58   224 views
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